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delle sue pupille rotonde. Sua moglie, in linguaggio figurato, era la scuola.

— Punto e a capo — disse Romolo tastando nel passare a canto al letto la fronte del giacente. — Ne avremo per un altro mese.

— No, no; speriamo di no! — si affrettò a rispondere Remo, fiducioso nell’influenza degli auguri.

I due fratelli uscirono insieme. Ippolito rimasto solo volle scrivere subito la lettera. Sentiva che il mal di testa si avvicinava a gran passi e gli sembrava di guadagnar tempo. Già non era questione che di poche parole. Saltò giù a prendere il calamaio, la penna, la carta; rabbrividiva di freddo, ma non ne fece caso. Son poche parole: Signorina.

Colla penna levata cercò la parola seguente, quella bella parola che incominciava la lettera, dietro la quale tutti gli altri periodi scorrevano lisci come fiume di latte. Che parola era?

Tornò a bagnare la penna; rilesse in cima al foglio nitido: Signorina. Aggiunse un punto esclamativo, così: Signorina! Ma la parola non veniva; nè quella, nè alcun’altra. Egli l’aveva pure scritta tutta col pensiero una letterina breve ed elegante che non diceva nè troppo nè poco, che era gentile e dignitosa insieme. Dove era fuggita? In quale angolo remoto della memoria? Ah! Un momento gli sembrava di af-