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verebbe così, al mattino, subito appena desto. Intanto però bisognava dormire. Pazienza che il tempo dell’insonnia non era stato sprecato poichè la risposta era pronta. Firmerebbe semplicemente Ippolito? No non conveniva. Meglio era Ippolito Brembo tutto intero. Dormire intanto, dormire...
Col lenzuolo buttato sulla faccia per concentrarsi meglio, egli serrò gli occhi disperatamente; e quando credette di avere raccolto un po’ di sonno, mentre gli sedava il cuore nelle prime dolcezze dell’oblio, il canto di un gallo lo fece sobbalzare. L’alba!
Affranto dalla veglia si chetò finalmente quando il sole era già alto e dormì parecchie ore di un sonno profondissimo, pesante. Al suo risvegliarsi vide seduto ai piedi del letto lo zio Remo che lo contemplava con una ciera compunta. Romolo intanto caricava le pendole.
— Ha la febbre...
— Non c’era da aspettarsi altro dalla bravata di ieri sera.
— Benedetta gioventù! Vuol proprio sempre pagare la propria esperienza.
Quantunque Remo avesse pronunciato queste parole con un tono mansueto e pieno di indulgenza, Romolo non accettò il la offerto dal fratello e rizzando tutte le sue punte di uomo malcontento rispose: