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se bianche, di gigli bianchi, di bianchi narcisi odoranti lievi, di serenelle bianche sfrangiate in una caduta di petali pioventi intorno al suo guanciale di convalescente. Chiuse le palpebre sotto un’onda di voluttà dolcissima.

Delle tante fanciulle salvate la notte dell’incendio una forse gli scriveva? Tale supposizione affacciatasi un istante alla sua mente fu subito rimossa. La fanciulla avrebbe anzitutto parlato di sè stessa. Ippolito fu quasi lieto di concludere che ciò non poteva essere, perchè quelle povere educande acerbe ed un po’ goffe non gli suscitavano nessuna immagine seducente; ma poteva essere una sorella od una amica. Ad ogni modo la lettera veniva da Milano e domandava risposta a Milano.

Risposta? Ecco una cosa che sembrava molto difficile. Che dire? In qual modo? E perchè? Decise di non pensarci oltre per quella sera. Soffiò sul lume e si voltò dall’altra parte.

Ma le pendole incominciarono allora a suonare in coro e Ippolito che doveva pure esservi abituato, perdette subito l’invito al sonno. Toc toc — tec tec — tin tin — drilin din din; e con la sveglia facevano tutte insieme un baccano indiavolato. Mai avevano fatto tanto baccano. Che cosa si narravano proprio in quella notte? Ippolito le ascoltò suo malgrado finchè tacquero, contando cinquantatrè ore suonate pazzescamente