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mai interessato di grafologia, Ippolito non poteva sfuggire all’impressione spontanea e affatto naturale che desta in ognuno di noi l’aspetto di quei segni che si ricongiungono immediatamente per mille indizi ad una volontà. Più lo scrittore è ignoto meglio lo si cerca nella sola rivelazione concessa, la sua scrittura. Il carattere, l’educazione, qualche volta perfino l’aspetto fisico escono meravigliosamente dalle parole scritte: una lettera al pari di un volto può riuscire attraente o ripugnante, perchè la lettera, come la voce, come lo sguardo, come il riso, come il pianto, come il passo, come l’ombra, se non è tutta la persona, è però della persona una emanazione diretta che difficilmente inganna.

La scrittura che egli aveva davanti agli occhi, semplice e chiara, presentava un tutto insieme nitido con assenza assoluta di svolazzi, molto spazio fra le linee tracciate con mano ferma e nessuno di quegli uncini così sgradevoli nella loro laidezza rivelatrice di ignobili istinti. Le parole non troppo inclinate indicavano forse che l’intelligenza soverchiava la sensibilità, ma alcune finali prolungate oltre il consueto davano pure indizio di animo generoso. La firma sopratutto era caratteristica per l’altezza speciale delle due elle conferenti a quel nome di donna una eleganza straordinaria.