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pagnarlo, gli gridò ancora: — Copriti bene! — e udì dal basso la voce agra di Rosalba la quale borbottava: — Purchè non faccia una ricaduta!
Tutto ciò non era allegro. Ippolito comprese in quel momento più viva che mai la tristezza della sua solitudine morale che gli creava un bisogno insoddisfatto di carezze e di parole dolci, di una dolcezza che non fosse quella ingenita di Remo, uguale per tutti. Oh! un bacio — di chi? — non lo sapeva, ma un bacio ardente sulla sua fronte, per lui, tutto e solamente per lui!...
Voltandosi vide la lettera. La prese, la guardò, non riconoscendo la scrittura. Il sesto era simpatico, la carta filogranata di una tinta pallida di avorio, l’inchiostro nerissimo. Il suggello di ceralacca color di viola recava impresso un solo monosillabo: Se.
Durante il periodo acuto della sua gloria egli aveva ricevuto dei fasci di lettere: lettere di amici, di condiscepoli, di curiosi, di oziosi, di vanesii, di incettatori d’autografi, di giornalisti che lo invitavano a descrivere la scena dell’incendio e del salvataggio quasi miracoloso, e, infine delle persone salvate che gli offrivano la loro riconoscenza; pure una lettera come quella non gli era giunta mai, ne era sicuro.
Per un senso inesplicabile sorto in quel mo-