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re. I suoi zii, d’accordo questa volta, gli fecero fare non senza qualche sacrificio l’anno di volontariato, e così partì.
Vide Firenze, vide Roma. Egli scrisse a casa che gli sembrava di sognare. La verità era che tra le sorprese non tutte piacevoli della caserma ebbe la fortuna d’incontrarsi con un amico intellettuale che lo iniziò al gusto dell’arte e della poesia, così che le passeggiate fatte insieme nella Città Eterna furono per Ippolito meglio che un corso di studi superiori. Quanti slanci sublimi sollevarono il petto dei due giovani dalle alture del Gianicolo guardando giù l’immensità di Roma! Partito ignorante, tornò coll’animo aperto al divino sentimento della bellezza. Ma rientrando nell’angusta vita domestica l’antica incertezza lo riprese davanti alla scelta di una carriera. Da quel po’ di esperienza fatta gl’impieghi gli erano venuti in uggia, e la prospettiva di trascorrere tutta quanta l’esistenza a correggere còmpiti non gli sorrideva più, poi che era riuscito a comprendere di non avere la pazienza di zio Remo. Procedendo con questo sistema di eliminazione si trovò da capo alla carriera musicale. Dovendo finalmente decidersi per qualche cosa si inscrisse al Conservatorio di Bergamo, senza soverchio entusiasmo, ma attratto dal lato poetico di una professione che lo avrebbe conservato in un ambiente d’arte.