al gran fuoco della cucina attendendo la bollitura delle castagne e nell’attesa recitava il rosario. Era quello un momento solenne in cui Rosalba dedicando la preghiera ai suoi poveri morti sembrava sorgere dalle grette preoccupazioni quotidiane per vestire una solennità di pensiero che la ingrandiva. Non era ogni cosa morta per lei? Da quando al fonte battesimale le avevano regalato il primo, forse l’unico complimento, chiamandola a un punto solo rosa e alba, che mai di buono aveva trovato nella vita? Un’ora d’amore, se pure era stato amore, e poi più nulla. La sua persona secca negli abiti vedovili era la perfetta immagine della sua mente e del suo cuore, ond’è che nessuno l’amava. Ma non era essa anche una grande infelice? Ippolito la osservava alla luce della fiammata che per quanto vivida non riusciva a estrarle nessuna scintilla, tranne che dalle perline di acciaio rilucenti sull’orlo de’ polsini neri; e un sentimento nuovo, un sentimento d’anima matura che intuisce i misteri dell’afflizione si faceva strada in lui; sentimento profondo di pietà per la povera donna dalla mente piccina e dal cuore arido incapace di fare il male quanto di fare il bene. Proprio in quel momento, recitando il trentesimo requiem, una grande stanchezza le apparve sul volto e la corona del rosario le scivolò di mano. La servetta scoppiò a