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a quegli ordigni di legno e di metallo dai quali pareva che tante anime sconosciute si affacciassero lanciando ognuna il suo segreto. Ascoltarle, intenderle, divenne presto per il fanciullo un diletto intenso. La sua fantasia si schiudeva ad uno sforzo superiore agli anni e per questo sterile; ma il suo cuore sospendeva i battiti per seguire quegli altri battiti, d’altri cuori, d’altre fantasie, sì che talvolta egli dava una forma umana a tutte quelle voci; ed una sfilata di fantasmi, misti di sesso, di costumi e di età, danzava nelle veglie febbrili dell’adolescente intorno all’ampia camera, fra i mobili antiquati, mentre il sapore terreo della magnesia gli ritornava su le papille del palato.

Fu certamente da quel periodo speciale della sua adolescenza che sorse e si rivelò in Ippolito una particolare tendenza alla musica, quantunque frammezzata e interrotta da cento altre attitudini che ad ogni istante ne spostavano la vocazione scombuiando i pronostici dei parenti e remora fatale agli studi.

— Qualche cosa gli manca di sicuro — pensava fra sè e sè il buon Remo: — se è il genio, parce sepulto, se è l’ambiente, verrà!

— Coltivare i propri fagioli — diceva Romolo, al pari di colui che reduce da un naufragio rinnega la bellezza del mare — guardar crescere l’erba e persuadersi che il mondo è una solenne corbelleria!