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mazione della servetta, un’altra più forte di Rosalba e contemporaneamente un’ombra sulla soglia dell’uscio li fece rimanere entrambi a bocca aperta.

Cessato lo sbalordimento della sorpresa Remo si alzò tendendo le braccia quasi temesse che all’ombra cara mancassero le forze per accostarsi, e disse dolcemente, con quella sua tenerezza calma e remissiva:

— Ippolito, non è questa una imprudenza?!

IV.

Ippolito.

Colui del quale per oltre un mese tutta la stampa lombarda si era occupata, Ippolito Brembo, era un orfano nella numerosa famiglia patriarcale e viveva fin dall’infanzia cogli zii nel casolare solitario, tranne qualche semestre passato a Celana, il collegio classico dei bergamaschi, il bel collegio eretto sulla cima di un colle dominante le vallate di San Martino e di Val Cava. Si era deciso tardi, fra incertezze e dibattiti infiniti, a frequentare il Conservatorio di Bergamo colla modesta prospettiva di finire organista. Non era una vocazione molto spiegata la sua; anzi egli aveva avuto diverse altre vocazioni, o piuttosto era corso dietro succes-