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Una lieve contrarietà, una contrarietà che era piuttosto malinconia, apparve nel volto aperto dell’onesto pedagogo che si pose, come era sua abitudine in tali frangenti, a battere — oh! ma molto adagio — il tamburello colle dita. Rosalba sospettosa, garrì:
— Non era buona la minestra?
— Eccellente, cara, eccellente.
— Salata — soggiunse Romolo.
— Per me — tornò a dire Remo in tono conciliativo — non me ne sono accorto.
— Che cosa vuoi mai giudicare tu? Sei senza palato.
— Anche questo può darsi.
— E! — tuonò Romolo. — Una patente di maestro non basta per formare il gusto.
— Già! Già! — mormorò Remo sempre più dolce mostrando con un sorriso di apprezzare lo spirito del fratello, ma attento a certi rumori che udiva sopra il soffitto.
La servetta in cucina lasciò cadere un piatto.
— Quella sventata! — gridò Rosalba scattando in piedi e correndo sul luogo del disastro.
Remo, raccattando la sedia e il tovagliolo che nella furia ella aveva sbattuti in terra, e disponendo in belle pieghe il tovagliolo, approfittò della di lei assenza che lo lasciava almeno con un avversario solo, per chiedere al fratello:
— Hai visto Ippolito nel pomeriggio?