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spirito religioso, Remo aveva ondeggiato molto tempo fra il sacerdozio e l’insegnamento; si era deciso per quest’ultimo, trascinato dal suo grande affetto per i fanciulli. D’estate e d’inverno, per quarant’anni, dalla sua modesta cattedra di legno grezzo egli aveva insegnato alle piccole animucce affidate alle sue cure le gioie e i doveri dell’uomo onesto tal quale gli venivano suggeriti dal suo concetto ottimista della vita; nè mai la sua coscienza si era offuscata di dubbi tormentosi; mai l’invidia lo aveva morso, mai dilaniato l’orgoglio, mai turbato la cupidigia. Sereno al pari dei fanciulli coi quali viveva, il suo volto recava l’impronta della sua semplicità e sarebbe parso melenso per una certa attitudine di stupore muto se, sotto l’arco troppo rilevato delle sopracciglia, l’occhio non avesse brillato di luce intelligente.

Rosalba, entrando colla zuppiera, interruppe la discussione tra i due fratelli; discussione per modo di dire, perchè nelle violente diatribe di ogni giorno era sempre Romolo che parlava. Era sempre lui che nella febbre rientrata di lotta e di successo inventava il nemico, lo assaliva incalzandolo furiosamente, lo debellava al suolo e pascendosi di un simulacro di vittoria si rizzava per un istante almeno, pago.

Rosalba, deposta la zuppiera, non sedette subito a mensa. Ella apparteneva a quella ca-