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non si abbia altro a fare che pulire il naso ai loro marmocchi. Per quel che rendono!

— Si fa quel che si può.

— Ma giammai quello che si deve. Io mi domando che cosa fruttarono i tuoi quarant’anni d’insegnamento. Quale uomo, dico, quale uomo, è uscito dalla tua scuola? A calcolare trenta allievi all’anno, farebbero mille e duecento; ma colle lezioni private ed altre storie possiamo argomentare che mille e cinquecento fanciulli sono passati sotto le forche caudine della tua grammatica e della tua aritmetica. Che cosa ne hai fatto? Dov’è Cesare? Dov’è Dante? Dov’è Galileo? Dov’è Sisto V? Dov’è Napoleone? Dov’è Napoleone, andiamo?

— Ma...

— Non c’è ma che tengano. So quello che vuoi dire, ed è un errore. Bada, un errore grosso, marchiano.

— Io non posso...

— Sta zitto che te lo dico io. Tu vorresti far credere che è Dio che crea i geni.

— Mi pare.

— Dio crea il seme delle quercie, d’accordo; quantunque... basta, lasciamo correre. Ammesso, per farti piacere, che Dio crea il seme delle quercie, se voi altri lo coltivate nello stesso modo delle zucche e delle rape...

— Scusa...