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Il nuovo arrivato chinò la testa come un cane sotto lo scudiscio del padrone e passando dietro la servetta la accarezzò paternamente sui capelli.
— Non le fate perder tempo! — garrì Rosalba. — Siete voi che mi guastate tutte le serve.
A questa nuova accusa le sopracciglia ad arco acuto invasero tutta la fronte, ma il loro proprietario non disse nulla. Anzi, avendo proprio in quel punto teso timidamente il collo per guardare la lettera che stava nel mezzo della tavola Rosalba gli intimò così bruscamente di badare a’ fatti suoi che egli si affrettò a sgattaiolare per l’uscio aperto nell’altra stanza, la quale era un tinello molto modesto illuminato da una lampada a petrolio, con qualche sedia di cuoio, una libreria e un attaccapanni. La mensa, già pronta, era coperta solo per metà da una piccola tovaglia sulla quale stavano appoggiati tre coperti con posate d’ottone (quelle d’argento si serbavano per le occasioni) e piatti di maiolica ordinaria e tre tovaglioli prudentemente rinchiusi in tre anelli ricamati a punto in croce; un anello rosso, uno giallo, uno bleu.
Il proprietario dell’anello rosso lo aveva già sciolto. Seduto a capo tavola nell’unica sedia a bracciuoli, più alto di tutti gli altri, dominatore, colla persona aitante, la testa poderosa, il volto irsuto, faceva pensare ad una di quelle