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— Ah! esso non è che un povero cuore! — esclamò la donna con uno slancio di umiltà sincera: — Ben altra è la tua missione, Ippolito. Trattieni le tue lagrime, povero amico. Tu le devi portare nel mondo, in mezzo agli uomini che non le conoscono e che le chiameranno poesia; ma questa poesia sgorgata da un cuore sanguinante sanerà molte ferite. Tu non sai quanti soffrono per la mancanza di comunicazione con un’anima sorella perchè cercando anche fra quelli che sembrano i bardi e i custodi della sacra fiamma non trovano che fredda erudizione e calcolo di vanità. Ma tu perchè ami e perchè piangi avrai qualche cosa da dire a’ tuoi simili, tu scenderai nei loro cuori, siederai in mezzo a loro e parlando de’ tuoi affanni essi crederanno di vedere i propri e ti ameranno per questo.

— Che m’importa se non ho più te?

Con una gravità profetica Lilia rispose:

— Io devo morire e la tua gloria sarà immortale.

— Che m’importa? — ripetè Ippolito.

Quietamente Lilia soggiunse:

— Noi avremmo cessato di amarci un giorno forse maledicendoci. Invece ci separeremo con tanto desiderio ancora; tu metterai il nostro amore nelle tue opere future e ciò che era destinato a perire vivrà nei secoli.

— Vanità!... — mormorò ancora Ippolito.