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dall’innamorato giovane. Quando mai aveva conosciuta un’anima così vibrante, un così squisito intuito di tutte le finezze amorose, una intelligenza così aperta al sentimento puro della bellezza? Abituata agli omaggi ella sapeva che non troverebbe mai più una adorazione così ardente e così ingenua. Non le aveva egli, in un momento di follia, proposto di sposarla? Racchiudeva tale immagine di vita futura una visione triste e grottesca insieme, e fu appunto ripensandoci che Lilia si sentiva presa di grande pietà per Ippolito. Povero fanciullo, che cosa farebbe? L’uragano che passava ora sul suo giovine capo non poteva lasciarlo intatto; quella passione doveva imprimere nella sua esistenza una traccia incancellabile. Lilia lo sapeva, lo vedeva, paventando e sperando per lui con un’alternativa di tenerezza e di ansia quasi materne.

Passeggiava in su e in giù dalla sua camera illudendo la trepidazione del cuore con alcuni preparativi di partenza, ripiegando un nastro, chiudendo un cofanetto, alla luce incerta del giorno che stava per morire. D’improvviso si arrestò tendendo l’orecchio. Un suono flebile, una specie di gemito l’aveva colpita, nè le riusciva discernere sulle prime d’onde venisse, tanto era inusitato. Poi le parve di comprendere: balzò alla finestra, l’aperse e allora salirono distinte fino a lei le note del piano: ma erano note