Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 270 — |
sotto il loro manto estivo ma coi fianchi scoperti che mostravano le secolari cicatrici delle lotte coll’acqua e col vento! O bei giardini dove più non olezzava l’olea fragrans, o terrazzi sporgenti, o boschi, o sentieri, o grotte erbose testimoni di tanta felicità perduta!
Tutto il giorno Ippolito percorse con una furia pazzesca i dintorni della villa, ora accusando Lilia del più nero tradimento, ora accusando sè stesso di ingratitudine, ma disperato sempre e in preda a un indicibile martirio. Al pensiero di perdere l’adorata donna se ne congiungeva un altro anche più tormentoso, non formulato con precisione di parole ma pur terribile nel suo fluttuare geloso di presentimento...
Andava, andava, andava, senza trovare requie, ora esaltato e delirante, ora in preda allo sconforto, inciampando nelle pietre che non vedeva con un traballamento da ubriaco, dato il capo nudo e il collo all’aria fredda di tramontana che trovava nelle sue membra una insensibilità di macigno. Avrebbe voluto farsi male o fare del male, uccidersi o uccidere, pur che uscisse dal suo corpo quel demone che lo investiva e potesse alla fine trovare un istante di sollievo anche a costo dell’annientamento.
Quando fece ritorno alla villa, girando dietro la casa del custode, vide Ni ritto sulla soglia ammantato nel suo contegno più fiero e più ri-