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hanno nè esitazioni nè rimpianti, nè rimorsi. Così egli amava! Era cecità? Era pazzia? Ebbene, senza cecità e senza pazzia non vi è amore.

Tutto ciò Ippolito disse colla violenza che era entrata oramai in quasi tutti i loro colloqui, che alterava la dolcezza dei loro rapporti e li teneva nell’ansia continua di chi cammina sopra un filo teso. Ai teneri languori succedevano scene di disperazione. Ippolito che l’aveva amata prima senza speranza, che l’avrebbe forse adorata per sempre in silenzio senza chiederle nulla, tacendo, quando si sentì riamato non ebbe più freni e si abbandonò a deliri, a frenesie cui non avrebbe mai creduto di poter arrivare, di quei deliri, di quelle frenesie che il mondo ignora o di cui ride; ma lui si sentiva uomo, si sentiva felice e non sapeva, non voleva saper altro se non che lei era giovane e bella e aveva dimenticato tutto il resto.

Che valore potevano assumere le osservazioni di Lilia sulla acerba giovinezza di lui, sui suoi vincoli di famiglia, sulla diversità della loro educazione, dei loro istinti, dello loro abitudini? Ella aveva compreso che in fondo al cuore di Ippolito c’era un bisogno di purezza e di vita semplice il quale, se pure momentaneamente soffocato, sarebbe risorto inesorabile e ad entrambi fatale. Gli parlava dell’avvenire con sicurezza veggente, ma da tutti i ragionamenti di