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a’ suoi piedi s’era svegliato uomo con mille desiderî nuovi, rinascenti, appagati eppure insoddisfatti, e s’era creduto felice mentre tanta infelicità piombava su di lui.

Ogni nozione di tempo, di luogo, di spazio, ogni criterio, ogni riflessione, ogni memoria che non fosse del suo amore, sembrava averlo abbandonato per sempre. Forse qualche istante di pazzia si trova nell’esistenza di tutti gli uomini che sentono fortemente; forse l’eccesso del dolore e l’eccesso del piacere conducendo ai limiti estremi della vita ne asportano la volontà gettandola nei gorghi misteriosi del nulla. In quell’ora di atroce sofferenza, vicina per intensità di vibrazione all’ora di voluttà trascorsa la prima notte sul lago, Ippolito misurò ancora una volta i ceppi che limitano ai mortali la visione dell’infinito: ancora una volta il freddo della morte lo toccò in fronte.

— Uccidimi, uccidimi qui. Fa che non mi rialzi più, che non veda, che non senta più, che l’ultimo soffio mio spiri in un tuo bacio!

Era caduto di nuovo ai ginocchi di Lilia, nascondendovi disperatamente il volto, annientandosi nel suo grembo.

E piansero! Piansero insieme alternando sospiri e parole d’amore, baci e promesse, riconoscendo l’impossibilità di separarsi, con una furia di vincersi l’un l’altro nell’ardore della pas-