Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 256 — |
Ella, raccogliendo i fiori, si alzò per abbracciare l’amico e intanto la lettera che era scivolata dietro la poltrona cadde a terra. Ippolito fece per metterla sul tavolino.
— Tienila. La leggerai poi.
— Ma è per te.
— Non importa. Leggila.
Nel salotto vicino li attendeva la colazione. Ippolito guardò le prime parole della lettera, guardò la firma, sorrise, si pose la lettera in tasca e offerse il braccio a Lilia.
Lilia restava sempre mesta. Il terribile dono di vedere chiaro davanti a sè le metteva in luce tutte le sinuosità del pericolo e l’asprezza della lotta che stava per combattere. E una stanchezza inusitata l’assaliva dopo un così lungo periodo di pace, una repulsione a combattere ancora, un profondo ineluttabile bisogno di riposo. Ma comprendeva egli ciò? No, non lo comprendeva.
Questa era la tristezza maggiore. In qual modo levargli la benda dagli occhi? Come dirgli che tutto era stato un sogno? Ciò che in lei era tristezza non diventerebbe per lui disperazione? Tanto era giovane! Tanto inesperto! Oh! egli non aveva mai amato prima, egli non sapeva le dure leggi che governano il più soave dei sentimenti! Un abisso li divideva... ed egli non lo sospettava neppure.