Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 255 — |
dizioni sono diverse, ma la vita è sempre quella e bisogna viverla.
— Bisogna viverla, — ripetè Lilia nel suo interno, mentre Ni prendeva la rincorsa sul viale e Mansa con dolcezza lo chiamava: Ni! Ni!
Come era soavemente malinconico quel mattino di novembre! Le nebbie di cui parlava don Peppino non erano giunte fin là e non vi sarebbero giunte forse mai, ma alitava pure sulla spiaggia ridente un soffio del gelo vicino; il lago più deserto, gli alberi meno densi, gli insetti morti o rintanati. Lilia ebbe un leggero brivido stringendosi nella vestaglia di morbida flanella del colore delle rose morte. Si guardò ancora nello specchietto ovale della contessa e ancora fuori della finestra, e sospirò.
Ippolito sopravvenne in quel punto, eccitato da una lunga corsa, con le guance fresche, l’occhio acceso. Aveva visto la neve sulle montagne della Valtellina e questo spettacolo lo riconduceva alla sua non lontana adolescenza, quando la prima neve gli offriva le maggiori distrazioni al paese natìo e che Rosalba diceva: «Bisogna mettere da parte le tre mele per guarire i geloni: una da mangiarsi in dicembre, l’altra in gennaio, l’altra in febbraio». Entrò nel salotto quasi correndo e si fermò davanti a Lilia gettandole sui ginocchi un ramoscello di gaggie.
— Invece dell’olea, — disse.