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— I tuoi genitori morirono presto? — disse Ippolito dopo un po’ di tempo allontanandola con un movimento dolce che gli permise di vederla meglio, quasi fosse una donna nuova o che egli credesse di trovarla mutata in volto.

— Mio padre morì lasciandoci un cumulo di debiti. Non dimenticherò mai il disordine e il terrore di quelle giornate. Tutta la mobilia fu venduta. Vidi uomini che non conoscevo minacciare mia madre della prigione. Si parlò di mettermi in un ritiro. Un giorno pranzammo con due biscotti e mezza bottiglia di vino di Madera. Mia madre aveva ancora i suoi diamanti, ma i servitori che avanzavano annate intere di servizio glieli strapparono di dosso coprendola di contumelie. Mi ricordo che piansi il dì che mi portarono via il mio piano e che la nostra cameriera mi disse con un sorriso cattivo: «Adesso anderà a servire anche lei». Ella intanto aveva gonfiato il suo baule di tovaglioli di Fiandra.

— E poi? — fece Ippolito interrompendo una nuova pausa.

— Poi non so cosa avvenne. Mia madre ed io andammo a Parigi. Il lusso ritornò nella nostra casa per cui smisi subito di dare alcune lezioni di piano che avevo io stessa sollecitate. E basta nevvero? basta!

Lilia si passò una mano sugli occhi. Nè smanie, nè rimproveri, nè rimpianti. Disse ancora