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— E — disse Ippolito grave e pensoso — quando fosti una giovinetta?
Lilia non rispose subito. Ippolito soggiunse:
— La tua cultura non è di quelle che si raccolgono a strascichi.
— Ciò che tu chiami la mia cultura è il frutto della mia osservazione e di un felice intuito. È vero che mi posero anche in collegio, il primo della città, naturalmente.
— E quando fosti una giovinetta?
— Quando fui una giovinetta mi ripresero in casa. Trovai quattro servitori in luogo di tre, un equipaggio e una camera da letto che mio padre aveva fatto venire da Parigi per offrirmela, copiata sullo stile di quella che aveva Maria Antonietta a Trianon.
— Come passavi allora le tue giornate?
— Facevo molta musica.
— Sola?
— Avevo un maestro.
Fu il tono della voce? Fu un rossore improvviso? Fu la divinazione dell’amore?... Ippolito trasalì.
— Giovine?
— Giovine.
Ippolito si morse le labbra a sangue. Nel silenzio che seguì, il lene mormorio della pioggia sembrava un pianto. A che interrogare? Ella tremava col petto contro il suo petto. A che interrogare?