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— Ti ho cercata tanto, sai, quando i primi raggi della giovinezza vennero a scaldarmi il sangue. Hai mai amato, tu, senza sapere chi? Io sì. Io ti cercavo, e non trovandoti amavo l’aria dove un giorno avresti respirato, i fiori che avresti còlti... Ti sembro un po’ pazzo?
— No, no, povero amore, povero bambino! Come avrei voluto conoscerti allora... Oh, se ci fossimo conosciuti allora!
Un rammarico straziante risuonò nella voce di Lilia mentre pronunciava queste parole. Ippolito mormorò con accento sommesso, quasi di sospiro:
— Dove eri tu allora?
— Dove ero?... Dopo, dopo ti parlerò di me. Dimmi la tua vita, dimmela tutta.
— La mia vita è qui tutta, in un sogno!
Le ore suonarono con tocco tremulo di ottuagenario alla pendola che si trovava sul caminetto fra i due candelabri di bronzo.
— Ecco una voce della mia infanzia! — esclamò Ippolito: — Io li conosco questi suoni stanchi. Nella mia camera avevo undici pendole vecchie che accompagnavano tutte le fantasticherie delle mie notti insonni. È su questa orchestra che feci i primi studi musicali.
— Erano buona gente, però, i tuoi?
— Buonissimi.
— E semplici?