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vi si internarono un poco tenendosi abbracciati, colpiti da quella nuova specie di silenzio, diverso dal silenzio del lago ma ugualmente malinconico e profondo.
— Che spiaggia deserta!
— Se la morte ci assalisse nessuno dei nostri gridi potrebbe raggiungere orecchio d’uomo.
Ancora alitavano intorno ad essi pensieri di morte, ma Ippolito soggiunse con ardore:
— Noi non dobbiamo morire.
— No, no — disse Lilia: — è tanto bella la vita!
E veramente, come se l’evocazione della tomba avesse acuito il loro amore, raddoppiarono gli slanci appassionati. Tuttavia Ippolito pensò ancora che pochi momenti prima, sospesi sull’abisso, essi avevano colto il palpito supremo che congiunge in un solo anelito amore e morte, e che più in là non si può andare.
I giuochi di luce nelle rame leggiere protese sul cielo, le fitte ombre dei rami più densi che facevano pensare a fantastici recessi, la linea bizzarra di un albero, un fruscio, un susurro, la forma stessa dei loro corpi proiettata sull’arena e che correva dinanzi a loro, tutto li interessava e li divertiva in quell’intima unione dell’essere per cui ricevendo ciascuno la porzione dell’altro si sentiva vivere due volte.
— Ascolta, l’usignuolo.