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tendo a vivere lontana dal teatro delle sue glorie, dagli amici e dagli ammiratori che le formavano intorno una specie di regno.

Fu in quel luogo, seduto accanto a lei sopra un divanino di musco, simile a quello del salotto di Milano ove per la prima volta le aveva baciate le mani, che Ippolito le riprese quelle care mani baciandole dito per dito con umile devozione. Incontrando la grossa turchese dell’anello che Lilia portava sempre all’anulare della destra, le chiese, tanto era bella, se fosse una gemma di famiglia.

— No, — rispose Lilia: — è un dono.

Senza sapere perchè, per un segreto istinto forse, Ippolito soggiunse:

— È magnifico questo anello, ma ha troppi brillanti, non mi piace. Dovresti levarlo.

— L’ho già levato un’altra volta, — disse Lilia sorridendo: — per lasciare maggior posto ai tuoi baci.

— Lèvalo per sempre..., — scongiurò lui.

— Fanciullo!

Così disse Lilia, mostrando di sorvolare su quel capriccio da innamorato, ma l’anello non apparve più sulla sua bianca mano. Nei dì seguenti, trovandola libera, Ippolito gliene fu tanto riconoscente che Lilia si rammaricò di non avere con sè altri gioielli per fargliene il sacrificio.