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Serbava il terrazzo avanzi magnifici di una balaustra di marmo, dove pure rimaneva qualche statua mezzo sepolta sotto l’edera quasi ammantando la propria nudità, ed aprivasi per due lati sulla ampiezza del lago dinanzi all’anfiteatro tracciato dalla catena che oltre Gera chiude la Valtellina e la Svizzera. Qui sostavano bevendo avidamente le prime frescure della brezza vespertina, con uno sguardo di commiserazione al battello che portava verso le città popolate quel misero branco di umani cui era sconosciuta l’ebbrezza della passione amorosa protetta dalla solitudine e dal silenzio.

Era l’ora della conversazione propriamente detta. Il luogo si prestava a simulare un salotto nelle pareti riccamente lavorate della balaustra, nei decori delle statue, nei tappeti di velluto muscoso, nei sedili che tra i marmi infranti assumevano aspetti variati e bizzarri non privi di una austera eleganza. Qui Lilia ritrovava il suo spirito, la sua arguzia mondana, e tacendo per poco la voce dei sensi, addestrava Ippolito al piacere raffinato dello scambio delle idee non mai così sensibile come quando avviene fra un uomo ed una donna entrambi intelligenti. Ed era allora che Ippolito sentiva anche maggiore l’ammirazione e la gratitudine per Lilia, la quale potendo aspirare alle più grandi conquiste si era data a lui, povero e sconosciuto, consen-