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lanti; e man mano che le ombre dei monti si allungavano sembravano respingere al confine le tinte tenere morenti nell’ora del tramonto, mentre le rive vicine si ammantavano di cupi velluti.

Avvezzo alla contemplazione della natura, Ippolito la associava alle più intime sensazioni. A’ suoi occhi nulla era isolato di ciò che palpita nell’universo: egli intendeva il grido giulivo del germoglio che rompe la terra e il lamento della foglia che cade; egli soffriva la malinconia dei fiori strappati prima della maturanza, dei nidi deserti, delle piante sterili, dei rami morti. Da un letto d’erbe, colla fronte levata al cielo, percepiva nel punto nero quasi invisibile librato ad altezze vertiginose il volo dell’aquilotto selvaggio, ed egli balzava in piedi tutto fremente, coi polsi che gli martellavano per un inconsulto desiderio di ascesa. Oh! levarsi alto sulla terra per vederla tutta, per abbracciarla tutta! Levarsi in un amore che potesse stringere tutti gli amori e toccare le soglie dell’immortalità!

Mirabile cosa. La passione che si era destata in lui e che tutto lo assorbiva, invece di sminuire sembrava crescere la sua forza d’amore, sembrava svolgere dai più occulti recessi del suolo una personalità nuova più potente e più complessa. Avrebbe voluto fare qualche cosa di grande e che fosse nello stesso tempo di una dolcezza infinita, come un tempio, come un al-