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mava Mansa, ed anche don Peppino quando veniva fuori da giovane mi chiamava Mansa; mia madre è stata la sua nutrice. Gli piaceva allora a star qui; poi si è annoiato; ma è naturale, un signore!

Sorrideva dolcemente, la donna, nel suo volto onesto solcato, da poche rughe a cui facevan lume due chiare pupille intelligenti e buone.

La sala da pranzo era molto gaia, coi mobili laccati in color verdino tenero, la dispensa a grandi vetrate dietro le quali occhieggiavano i vecchi piatti di Faenza; tutto in giro pendevano quadri di uccelli, di frutta, di fiori, quasi un invito al tripudio della mensa, la quale sorgeva nel mezzo ricoperta da una fine tovaglia a disegni antiquati, lucida e morbida, con un lontano odore di spigo rimastole dalla lunga permanenza nel guardaroba.

— Compatiranno..., — disse ancora Mansa.

— Questa casa è deliziosa. Non mi sarei mai immaginata di trovare in provincia tanta grazia elegante e originale.

— È appunto in provincia — replicò vivacemente Ippolito: — solo in provincia che è possibile di incontrare ancora una certa originalità. Le grandi città del progresso si assomigliano tutte come caserme. Io mi sento qui in patria.

Sedettero lietamente al desco, vicini vicini come già avevano fatto nel salotto del battello, e