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Una fanciulla brutta li stava guardando colle pupille imbambolate...
— Andiamo! — fece ancora Lilia, mettendo nell’accento una nota di severità quasi materna come l’hanno spesso le donne quando sentono tremare nella loro piccola mano la volontà di un uomo.
— È un supplizio, — mormorò Ippolito.
Ella si mosse, languidamente, colla sua maestà di giovane dea:
— Chi mi ama mi segua.
Scesero nel salotto deserto, dove lo specchio riflettendo la figura di Lilia parve animarlo ad un tratto e diffondervi una sùbita eleganza.
— Si sta meglio qui. Fuori c’è troppa luce.
Gli occhi neri di Ippolito scintillarono alla dolce bugia mentre rispondeva:
— Sì, si sta meglio.
Sedettero sul divano circolare, accanto all’entrata; così coloro che passavano non li potevano vedere. Avevano davanti un tavolino, dietro la minuscola finestretta che dava sul lago, intorno nessuno. Con un po’ di fantasia giunsero a credersi soli in un loro salotto, tanto la volgarità del ritrovo pubblico e degli oggetti comuni a tutti spariva, si idealizzava in quell’onda ardente dove la più piccola sensazione aveva un polso di febbre. E parlavano poco, a monosillabi, con una assenza assoluta di pensiero, sentendo che