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l’acqua colla punta dell’ombrellino, quasi volesse scrivere sulla mobile superficie un motto noto a lei sola, ma poi, sollevando la testa, sorrise al giovine amante.

Egli guardava l’orecchio di Lilia, piccolo, delicato, di una trasparenza rosea di perla orientale, provando il furioso desiderio di baciarlo; ma non osava. Sfiorò allora colle dita il velo bianco che cingeva il di lei cappello, col pretesto di accomodarlo, per sentire il fresco tepore di quell’orecchio; ed ella non cessava di sorridere colla bocca e cogli occhi, trascinata dallo stesso desiderio, sfidandolo quasi per accrescere l’intensità dell’ebbrezza che li dominava. E veramente, a guisa di ebbro che si appoggia al primo albero che incontra per non cadere, Ippolito tese il braccio verso un gruppo di case grige e nere appollaiate in aspetto di gufo, sulle asprezze della roccia:

— Nesso — fece Lilia.

Forse un raggio di sole passò in quell’istante fra i capelli di Lilia rendendoli più brillanti, forse fu una pozzetta nuova che si incavò nella sua guancia o una attitudine di eleganza raffinata e di civetteria profonda che diede le vertigini a Ippolito. Colla mano che teneva la bella vitina se la strinse improvvisamente contro il petto e il bacio, sospeso fino allora nell’aria scottante, cadde.