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lini pressochè deserti in quell’ora e i piccoli divani accantonati sotto le alte specchiere. Scelse, secondo il solito, il posto meno in vista, e bevendo a piccoli tratti la sua birra pensava che decisamente, se vi sono al mondo ore penose non mancano per compenso quelle della felicità. Una mosca ronzava intorno al suo bicchiere ed egli la mandava lontano senz’ira con un lieve movimento del fazzoletto, guardandosi dal farle male. «Poverina, ha diritto di vivere anch’essa!»
Il cameriere vedendo quell’avventore pacifico gli portò i giornali locali: La Gazzetta di Bergamo e il Giopì. Ma Remo si trovava in uno stato d’animo ideale che gli sarebbe parso di guastare con le misere questionelle della politica. Preferì dar fine alla sua birra, guardando alternativamente i rosoni del soffitto, le cornici degli specchi e le rare persone che passavano in quell’ora sul Sentierone, vedendo attraverso ognuna di queste cose il suo proprio nipote, Ippolito, quale era poco prima, seduto all’organo e traendo quei suoni divini che facevano andare in visibilio l’uditorio. Si provò anche a ripetere qualcuno dei motivi della composizione così tra sè e sè, senza dare nell’occhio, ma questo era più difficile.
La mezz’ora intanto era trascorsa. Remo pagò la birra e attese. Gli dispiaceva quel ritardo,