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XII.

La prova.

Quando la sala del Conservatorio fu gremita del solito pubblico che assiste tutti gli anni al saggio finale e gli allievi pronti al loro posto aspettavano che venisse il loro turno, Ippolito si concentrò tutto nella gran prova. Scolaro mediocre, aveva forse presunto troppo scegliendo un tema di così alto volo quale è il Cantico dei cantici; era questa almeno l’opinione della maggior parte de’ suoi condiscepoli. Egli no. Egli si sentiva calmo, grave ma calmo.

Zio Remo, che si era portato a Bergamo apposta per la solenne circostanza, gli aveva detto: «Dal momento che tu hai messo nel tuo lavoro tutto l’impegno di cui sei capace non devi temere di nulla. Il Signore ti aiuterà».

Il buon uomo era andato egli stesso, calmo e sereno, a collocarsi sulla balconata dove sogliono prender posto i parenti degli allievi, scegliendo il cantuccio più umile e meno in vista accanto ad una grossa matrona alla quale domandò scusa per il disturbo.

Il saggio si aperse con una suonata a quattro mani, al cembalo, eseguita da due signorine.

— Bravissime! — esclamò Remo quando ebbero finito.