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tanti istanti felici: vide la panchina sotto i boschetti, testimonio delle sue notti ardenti, e gli venne un groppo alla gola, un sentimento vago di abbandono e di terrore quale deve provarlo un bambino perduto in una città sconosciuta. Roventi ed amare alcune lagrime gli inumidirono le palpebre.

Ora sì l’amore gli si manifestava in tutta la sua potenza di Iddio crudele; l’aculeo gli era penetrato fino in fondo alle carni e lavorava profondamente. Invano faceva sforzi per scacciare coll’occupazione quel continuo tormento dell’attesa. Leggeva, pensava, scriveva; ma credeva di leggere, di pensare, di scrivere: in fondo al suo pensiero non c’era che Lei. Una sola era la ispirazione: Lei! Sempre Lei che lo circondava, lo accecava, lo inebriava, lo induceva a parlare da solo come un pazzo, a invocarla nel cuore della notte: «Lilia! Lilia! sono tuo. Non vi è nulla ormai al mondo che io tema, nulla che mi spaventi, nulla ch’io ricordi, nulla ch’io brami, nulla ch’io debba, nulla ch’io senta, nulla ch’io creda. Tu! Tu! Tu!»

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La sera prima dell’esame prese una forte dose di cloralio per poter riposare qualche ora.