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tima volta a baciarle le dita ad una ad una. Ed egli si raddrizzò cogli occhi spalancati, quasi volesse accogliere dentro alla pupilla la vaga immagine della donna sorridente nella sua gloria.
Non vide la scala, non vide la strada. Mai in tutta la vita si era sentito tanto felice. Era un delirio pazzo, sfrenato. Avrebbe voluto abbracciare tutti, fare tutti contenti e felici come lui; gridare di giubilo, cantare un inno di grazia. Chi gli avrebbe detto un giorno che si potevano gustare nel mondo simili gioie? Era dunque l’amore, era l’amore!
Il passato, l’avvenire, l’esistenza, la società, il mondo intero, che valore avevano oramai? Tutto spariva. Non restava che Lei. Chiudeva le palpebre e se la sentiva vicina col suo profumo inafferrabile che lo avvolgeva in un’onda di dolcezza, e la vedeva, terribilmente bella, nella sua linea di stelo fiorito su cui due astri si erano posati come ad un convegno di tutte le bellezze.
Sfibrato, sfinito, tentò invano quella sera di dormire. Dormire erano ore perdute per la felicità; meglio abbandonarsi ancora all’ebbrezza dei ricordi e fantasticare e affogare in quel mare di sogni. Quando l’alba entrò nella sua camera, chiese a sè stesso se non fosse vittima di una allucinazione. Aveva sognato? Perchè il cuore