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ospitalieri padroni avevano lasciato soli zio e nipote immaginando bene che avessero qualche cosa da dirsi, Ippolito chiese subito di che si trattava.
— Figliolo mio — esordì Remo messo nella condizione di chi addossato a un muro si trova il nemico davanti — bada che io non credo niente. Sono ciarle, dicerie, roba messa in giro da qualche invidioso o da qualche sfaccendato...
Fin dalle prime parole la voce segreta dell’istinto fece battere confusamente il cuore a Ippolito il quale si morse i piccoli baffi con un movimento nervoso aspettando il seguito. Ma anche Remo aveva sollevato sul nipote i dolci occhi rotondi sperando un aiuto o un incoraggiamento purchessia, e l’attitudine del suo volto era pietosa a segno che Ippolito finalmente disse:
— E così?
— Dicono... ma non arrabbiarti, sai, perchè se non è vero non è vero, ed io credo più a te che agli altri. Dicono che hai una relazione...
Si fermò in attesa che Ippolito protestasse, ma vedendo che non faceva altro che mordersi i baffi in silenzio, prese animo a soggiungere:
— .... a Milano...
Sempre silenzio.
— .... in via Palestro... e che c’è un duello per aria. È vero?... No? Ah! lo sapevo bene.
— Piano, caro zio. In quello che tu dici c’è vero e c’è falso, come succede spesso.