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mento, sempre per quella benedetta tendenza a vedere tutto roseo, ed affrettando il passo e crollando la testa più energicamente in senso affermativo, questa volta per avviarsi con una ginnastica graduale alla grande battaglia, si rimise di fronte il problema: Una pratica a Milano. «Uhff!!» — sbuffò. Molto molto di simili affari non si intendeva... Per conto proprio, intanto, no! Ma qualche amico, qualche racconto udito di straforo, qualche lettura... Cose vecchie del resto. Anche Circe, anche Cleopatra, anche Messalina... Dice bene Rosalba: Vampiri! Bisogna atterrarli e distruggerli. Ippolito, poveraccio, che ne sa lui? Ma capirà la ragione, oh! la capirà subito; un ragazzo intelligente, buono, affezionato alla famiglia non può perdersi così da un momento all’altro. È questione di arrivare in tempo. Il peggio è quel duello. Un duello! Ma se non ha mai maneggiato altra arma fuori dello schioppo! E poi non sono forse proibiti i duelli? Dunque non si fanno. Sarebbe un triplice attentato contro la religione, contro le leggi, contro la famiglia. Ippolito non ne è capace. Egli crede in Dio, rispetta i superiori, è sempre stato un figliuolo obbediente e timorato; perchè dovrebbe battersi?...
E quella donna, a proposito, quella donna, se lo ama, non lo può permettere nemmeno lei. Bisogna dirglielo, bisogna mostrarle la respon-