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— Ma! — fece don Peppino allargando le braccia e sporgendo il mento colle labbra strette.
Il giornalista girò lo sguardo intorno mormorando:
— Non vedo qui nessuno che possa mettermi sulle traccie.
— «È l’amore strano augel» — canticchiò don Peppino bonariamente mentre gli occhietti gli scintillavano di malizia.
Il balcone di Lilia si apriva sui boschetti, deserti in quell’ora e percorsi da brividi misteriosi, come se gli alberi approfittassero dell’oscurità per intrecciare le loro chiome in amoroso amplesso. Ella stava in piedi, appoggiata alla balaustra, tutta spinta in fuori col busto per sprofondarsi maggiormente nelle tenebre e nel silenzio; colla testa inclinata in atto soave, non ricordandosi nemmeno più delle persone che l’aspettavano in salotto, sembrava suggere tutta la dolcezza della ammirazione muta che palpitava al suo fianco; muta, nuova e per ciò deliziosissima. In verità non era mai accaduto a Lilia di fare una conversazione così interessante con un minor numero di parole. Forse venivano a lei nella dolce notte, per lontano atavismo, i sogni delle avole vissute nei tempi romantici delle congiure e del mistero, quando anche l’amore si vestiva di così poetici veli?
Egli aveva detto: «Non potevo più reggere»;