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provinciali che vengono fuori dal loro guscio quando non sono i migliori sono i peggiori addirittura, Milano lo sa.

Per un tratto, fin verso il tempio di S. Carlo, il giornalista fu occupato a rispondere ai saluti di un gran numero di persone. Faceva ciò con una cortesia fredda, rizzando impercettibilmente la bella testa leonina dove lo sguardo troppo vivo sembrava cercare un rifugio dietro i cristalli lievemente cobalizzati de’ suoi occhiali d’oro. Era un uomo di statura media ma che sembrava alta per la snellezza delle forme e per il portamento altero. Di pronto ingegno, fornito di studi discreti, si era fatto la sua strada da sè senza crearsi troppi nemici ed ora imperava dalle colonne di un giornale influente reggendo lo scettro con mano sicura.

Oltrepassata la colonna del Leone gli incontri diradarono e i lumi anche. L’antichissima chiesuola di S. Babila, accoccolata come una vecchietta dormente, non fu nemmeno scorta dai due passeggiatori che tenevano ancora il sentiero di sinistra. Il Corso, che quivi si allarga e si prolunga in una doppia fila di case signorili, acquistava dalla solitudine una imponenza grandiosa che sembrava riposare dal tumulto di prima. L’aria stessa era più pura, così che i due per istinto si arrestarono a respirarne una larga boccata; e come lo straniero osservava le colossali cariatidi di un palazzo, l’altro notò: