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Questa recisa affermazione fece persuaso Ippolito che fosse invece tutto il contrario. In verità egli non aveva mai veduto nulla di simile nè come morbidezza nè come tinta. Forse avrebbe potuto trovare un riscontro nelle ali di certe farfalle che gli erano apparse palpitanti al sole ne’ caldi meriggi dell’estate; una creatura vestita così non poteva essere che una fata. Cenerentola appunto nella noce offertale dalla fata aveva rinvenuto una veste color della luna. Che fosse quella?

Egli la pose sul palmo della mano, poi sul ginocchio; indi la sollevò contro la luce e finì col passarsela delicatamente sulla guancia. Staccarsene non poteva. Era stata una idea geniale, bisognava convenirne.

Chiuso accuratamente nel taschino più misterioso del suo portafoglio, quel piccolo lembo di vestito lo seguiva dovunque: egli si sentiva quasi fiero di portarlo e ad ogni tratto lo toglieva per rimirarlo ancora, per ripetere a sè stesso che non era un sogno. Lo confrontava qualche volta di sfuggita cogli abiti delle signore che passavano sul Sentierone, ma non ne trovava mai alcuno che gli somigliasse; e neppure in Santa Maria, alla messa del mezzogiorno, dove egli vedeva delle rigide matrone vestite di nero, di grigio, di color marrone, di verde e di turchino scuro; oppure gonnelle bianche,