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58 Una giovinezza del secolo XIX

dei vantaggi delle mie vacanze a Caravaggio. Continuavo ad essere nemica acerrima dell’insegnamento, pur crescendomi il gusto della lettura e un particolare piacere di certe parole, di certe frasi armoniose che mi davano una ebrezza musicale, mentre la musica mi lasciava fredda o, se mi commoveva, era solo come accompagnamento e complemento delle parole. L’intuizione, così superiore in me alla coscienza, mi faceva penetrare in alcuni stati d’animo, che non avrei diversamente compresi. La dolce malinconia, il pathos dei seguenti versi dell’Edmengarda mi rapiva in una contemplazione che la zia Claudia, ammonendomi di non cogliere l’uva acerba, non sospettava neppure, quando io, indugiando silenziosa sullo scalone di pietra li affidai, in mancanza dei quaderni distrutti, alla solita parete che riceveva gli sfoghi grafici di noi fanciulli.

          O giovinette, gioia vereconda
          della casa materna, a cui dovrebbe
          vergin campo d’amori esser la terra,
          quand’io vi veggo rotear ne’ balli,
          di rose e gigli incoronate il crine,
          quand’io v’ascolto ne’ giocondi crocchi
          le memori narrarvi ore del chiostro
          o le speranze del futuro amante,
          non vi sorrido, ma pietà mi stringe
          dolorosa di voi che imprenderete
          la dura via fra poco.