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256 | Una giovinezza del secolo XIX |
ridevano. E sempre, quando narrai questo episodio della mia infanzia, trovai persone che ne risero.
Sono questi malintesi, in apparenza puerili, ma turbatori delle coscienze profonde, che alimentano lo sdegno muto dei solitari. Io compresi a poco a poco il silenzio rassegnato di mio padre, la sua nobile malinconia che non pesava mai sugli altri, il suo ritiro nelle arche del passato dove egli trovava ancora imbalsamati tra gli aromi della memoria i cari fantasmi della sua giovinezza, che dovette essere ardente e misteriosa. Con quale desiderio di sprofondarmi in lui, nella sua vita, sperai di trovare il seguito del diario incominciato a Roma! Ma, come egli non parlava mai degli anni trascorsi, così non si curò nemmeno di conservarne le traccie. Solo rimane questo fascio di lettere che io vado sfogliando e interrogando con ansia amorosa, tutte interessanti, sebbene in diverso modo. Sono letterine brevi, ma appassionate e piene di nostalgia, che la mamma, sciolta dal suo ritegno di fanciulla severamente educata, scrive a papà dopo il matrimonio e durante le assenze di lui (per sorvegliare la fabbrica della grande Abbazziale di Casalmaggiore). Sono ancora le lettere delle sorelle, della mamma, specie la Carolina, zeppe di incarichi per la città. Risorge in questa