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Una giovinezza del secolo XIX 253

A tutti coloro che lodano il mio talento rispondo sempre con perfetta buona fede, che ciò che essi chiamano talento non è altro che una sensibilità superiore alla quota comune. Ognuno crede di averla questa sensibilità e invero una sensibilità l’hanno, ma non questa. Rammento che da bambina salii un giorno sul palco altissimo che serviva al pittore Moriggia per affrescare la volta del Santuario di Caravaggio: (forse il medesimo *** dove mia madre prestò la sua delicata bellezza a impersonare la dolce figura di Ruth, ma più probabilmente in quello dove campeggia matronale Giuditta reggendo con una mano la testa di Oloferne). La zia Carolina, che era con me, osservò come alcune parti delle figure le sembrassero esagerate e Moriggia; a spiegarle che per ottenere un effetto di naturalezza sullo spettatore che le avrebbe osservate dal basso della chiesa era necessario tener calcolo della distanza e dipingerle più grandi del vero. Manco dire che, se io parlavo poco, ascoltavo però molto e quelle parole di Moriggia, confermate da osservazioni mie particolari, non mi uscirono più dalla mente; mi sembra di poter spiegare colla medesima legge delle distanze la differenza che passa tra la sensibilità dell’artista nell’atto della conce-