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252 Una giovinezza del secolo XIX


incorniciati di arabeschi d'oro; frasette scolastiche riboccanti di gentilezza e di tenerezza, pari al grazioso cinguettare di uccelletti da un albero all'altro. Di un interesse più serio, e per me quasi sacro, è la corrispondenza dei miei genitori prima del matrimonio. La loro unione ostacolata da gente invidiosa e maligna che tentava con basse calunnie di staccare i fidanzati è il motivo dominante di queste lettere, nelle quali l'amore sincero, appassionato e impaziente di mio padre non si disgiunge mai da una grande elevatezza di sentimento e di rispetto, a cui la fanciulla risponde con dolce ritegno, colla riservatezza del pudore femminile e di un affetto al quale non osa abbandonarsi, finchè non fosse caduta ogni vergognosa insinuazione e dileguati i sospetti che rendevano esitante il padre a dare il consenso per le nozze.

È in questa corrispondenza che rintracciai la frase di mio padre posta per epigrafe alle presenti memorie: «Che gran dono è il sentire! È aver Dio in noi». Si può trovare una definizione più bella, più vera, più profonda? Essa spiega e completa il motto dell'Apostolo citato più sopra. Io, quando la lessi la prima volta, ne ebbi un barbaglio come di rivelazione. Conobbi mio padre e mi riconobbi in lui.