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240 Una giovinezza del secolo XIX

menegarda quali io ve li scrissi:

"O giovinette, gioia vereconda...."

Ed ora l’ultimo pellegrinaggio, il più tenero, il più doloroso. Da molti anni non attraversavo il paese, dall’infanzia forse. Affacciandomi alla piazza mi parve di sognare. Fra me e le cose intorno si interponeva uno spazio confuso, come se il tempo trascorso vi avesse sospesi veli di nebbia a rendere i contorni meno materiali. Qualche indizio di tale stato d’animo dovette trapelare dalla mia persona, perchè dalla soglia delle botteguccie, dinanzi ai canestri delle ortolane, alcuni curiosi stavano a guardare questa incognita con una certa meraviglia per il fatto che se un forestiero va a Caravaggio, ci va per il Santuario e non per vedere il paese. Avevo una gran voglia di gridare: "Badate, non sono forestiera, ho conosciuto questo paese prima di voi, vi ho succhiato il primo latte...". Fantasticava: "se incontrassi la mia nutrice? o i suoi figli? o la mercantina che mi vendeva gli spilli dai variati colori? ma no, vaneggio, tutti sono morti!...". Improvvisamente mi trovai dinanzi ad un ammasso di calce mostruosamente tormentata e sforacchiata che mi diede l’esatta impressione di un pugno negli occhi. Oh! Dio, cos’è questo?