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Una giovinezza del secolo XIX 231


folata di vento mi aveva rovesciato il cappello sugli occhi; nè fu breve impresa districare il cappello dalla veletta avendo le mani occupate da una valigia, un ombrello, uno scialle, e il vento che soffiando proprio verso di me, mi cacciava negli occhi turbini di nevischio e mi sbatteva le sottane contro le gambe, impedendomi di fare un passo. "Un facchino! almeno un facchino per portarmi la valigia!" Cacciavo questo grido di disperazione tra i ghiacciuoli del mio fiato, ma non c’era intorno anima viva. Le poche persone giunte insieme a me, si erano squagliate in un battibaleno; attraverso le vetrate chiuse della stazione non scorgevo altro che usci chiusi. Da quella parte non c’era speranza di aiuto. Mi ingegnai allora a discendere sola la scarpata che conduce al paese, trascinandomi dietro il mio bagaglio, aguzzando gli occhi verso lo stradale per il quale doveva passare il modesto tram che conduce a Rivarolo.

Ma non si vedeva che neve. San Pier d’Arena era trasformato; case, botteghe e finestre tutte sbarrate ne avevano trasformato l’aspetto; e la solitudine e il profondo silenzio di quei luoghi così pieni di vita e la necessità di combattere ad ogni passo col vento che mi spingeva indietro incominciavano a confondere la mia abilità topografica, che non