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208 Una giovinezza del secolo XIX


che ci lascia credere, che ci permette di amare! Dove troveremmo la deliziosa freschezza di quell’istante in cui, mentre ogni cosa intorno a noi è tranquilla e noi stessi ci sentiamo tranquilli, un campanello che scatta, un uscio che si apre, ci dà la sensazione improvvisa di avere al posto del cuore un uccello che batte le ali? E se la camera nella quale ci troviamo è buia, tosto si riempie di raggi, e se la percuote il sole noi vi vediamo danzare miriadi di stelle? Che importa se tutto ciò non ha la matematica certezza dell’abbaco? Il solo vero è dentro di noi. Quale afferrabile bellezza sarà più bella del nostro sogno?

Ricordo l’impressione disgustosa che mi diede una bimba di quattro anni; era il giorno di Natale e, trovandola che giocava con diversi balocchi degni di ammirazione, uscii ingenuamente a domandare: "Sono i doni del Bambino, nevvero?" — "Che sciocchezze! — rispose — Io non credo a queste grullerie; li ha comperati papà". Conosco una quantità di persone, oh Dio, quante! che in simile circostanza avrebbero riso; io invece trasalii con quel senso di angoscia che ci prende quando si spezza improvvisamente una cosa fragile e bella, goccia di cristallo o candore d’innocenza. Ricordo per antitesi un caldo meriggio