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Una giovinezza del secolo XIX 199


con luminarie, coll’intero paese rovesciato fuori, che sentii per la prima volta palpitare, in mezzo al popolo entusiasmato, l’anima della patria.

Da Caprino lo zio Cecco fu trasferito a Bergamo. Altra rivelazione di bellezza e di quel respiro antico, respiro delle cose che vissero prima di noi, verso le quali l’anima mia volava fin da quando i miei sguardi indagavano curiosi e soggiogati le forme fuori moda del baule della nonna. Si intende che la mia ammirazione per Bergamo fin dalla stazione sorvola la gaia leggiadria del borgo per salire ratta al fastigio della città medioevale, così fieramente rizzata a vedetta delle Alpi. Amo le sue porte, le sue chiese, i suoi palazzi e le viuzze sassose in mezzo al verde delle mura dove battè un giorno la zampa ferrata il destriero del Colleoni. Amo gli orticelli sospesi tra casa e casa, come panieri di fresche verdure, che si allietano in primavera di cento e cento rose. Lo zio Cecco andò ad abitare proprio nel centro della vecchia città, in via Porta dipinta, caro nome arcaico che mi faceva andare in estasi e fu quella una delle mie ultime oasi felici. Da quel punto la mia dolce Tuina spiccò il volo per seguire il marito nelle diverse destinazioni della sua carriera