|
Una giovinezza del secolo XIX |
197 |
avevo visti nel giardinetto della zia Claudia a Caravaggio; una raccolta più ampia e più varia la trovai a Casalmaggiore colla sua salvia cocinia, le ortiche d’America, le quali non pungono affatto e vestono graziosamente di rosa e di giallino, poi il geranio d’Africa, il geranio notturno, le fucsie, i nasturzi dorati, la madrevite che sostiene sulle esili braccia pensili cuori e quanti, quanti altri! Appena entrata nel cortile dello zio Cecco a Caprino fui investita dalla chioma fluente di una serenella che per le vie degli occhi e dell’odorato prese intero possesso di me. Ah! forse l’albero è disseccato, l’albero mortale del cortile, non quello che verdeggia in me ad ogni primavera, e che depongo oggi, fior di memoria, tra queste pagine. E le peonie fastose che se avessero profumo contenderebbero il primato alla rosa! E quelle anfore carnose di inebbriante aroma che sono i piccoli fiori dell’olea fragrans! E i gelsomini, stelle della siepe! E le tuberose, labbra d’amanti congiunte in un bacio! Ora la moda dei fiori è entrata in tutte le case, imperversa fin sulle tavole delle più modeste trattorie; sono fiori stereotipati a seconda della convenienza di chi li vende, resi volgari dall’abuso e dal carattere commerciale, privi d’odore, profanati dal filo di ferro che squarcia i loro te-