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Una giovinezza del secolo XIX 185


mi trovava ingrassata; e siccome dall’accento e dall’espressione del suo viso traspariva l’intenzione di avermi fatto un complimento, appena si fu allontanato papà ebbe a notare che si era espresso male; perchè non poteva sapere se quella osservazione potesse piacermi e che ad ogni modo non era delicata. — Doveva allora tacere? — chiesi io. — Non è questo — rispose mio padre — ma se proprio voleva fare un complimento doveva limitarsi a dire: La trovo bene. — Egli possedeva in sommo grado quest’arte delle sfumature, delle critiche sottili e profonde; ma io compresi subito che l’appunto non era stato fatto per criticare l’amico, bensì per insegnare a me. Era d’altronde il suo sistema educativo; poche parole quando si presentava l’occasione, ma tali che non si dimenticavano. Un’altra volta la lezione fu più diretta. Qualcuno, non ricordo più chi, ebbe a dire che ero simpatica, e quella specie di elogio, a me che non ne ricevevo mai, fece una così lieta impressione da indurmi ingenuamente a riferirglielo, persuasa, per il bene che mi voleva, di far piacere anche a lui. Sorrise il mio buon padre alla innocente fanciullaggine, e volendo nello stesso tempo frenare il possibile sorgere di una vanità intempestiva: "Quando — ammonì dolcemente —