Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
162 | Una giovinezza del secolo XIX |
ma di veri virginia, aspri e forti. Esse però non fumavano in pubblico; è una attenuante.
Dolce è il crepuscolo della sera ai vaneggiamenti delle anime felici; ma io, nonchè felice, non ero nemmeno libera. Per la soggezione che mi dominava sempre non avrei ardito di accendere un lume e rimanevo così, àpata, nella tristezza snervante delle tenebre, immobile anch’io e silenziosa. S’avrebbero potuto udire i nostri quattro respiri. Mi domando ora che cosa sarebbe avvenuto, se non fossi stata supinamente ligia a quella specie di regola conventuale che strozzava in germe ogni mia volontà e sono convinta che non sarebbe avvenuto nulla, come non avvenne nulla ai miei fratelli che, più o meno, facevano quello che volevano. Ma io avevo già preso l’abitudine di ripiegarmi su me stessa, avversa per istinto alla lotta, che mi avrebbe sottratto tempo ed energia. Da quando abitai la mia anima come si abita una fortezza, e ciò avvenne prestissimo, il piano della mia resistenza si tracciava da sè e non mi accorgevo che uscendo da una prigione entravo in un’altra, tagliando i ponti che dovevano congiungermi alla vita.
Altre ore ricordo. D’estate, nei tramonti afosi di luglio e di agosto, spalancavo le finestre verso